Asclepiade di Samo

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Asclepiade di Samo (ante 310 a.C. – ...), poeta greco antico.

Antologia palatina[modifica]

  • Ahimè, non ho ancora ventidue anni, | e già sono stanco di vivere! O Amori, | che cos'è questo tormento? Perché | mi bruciate? E se la morte mi colpisce, | Amori, che farete? Già! Come prima, | giocherete scherzando con i dadi. (da Giovane, e stanco di vivere)
  • Dídima con quegli occhi m'ha preso. Mi struggo, mirando | la sua beltà, come la cera al fuoco. | È una nera: che fa? Come i tizzi: s'accendono, ed ecco | brillano come calici di rosa.[1]
  • O lampada, per tre volte in questa stanza | giurò Eraclea che sarebbe venuta. | Lo giurò solenne su di te. Ma non appare. | Se sei una dea, o lampada, castiga | l'ingannatrice: e quando si diverte | qui dentro, nelle braccia di un amico, | non mandare più luce. (da Il giuramento sulla lampada)
  • Spia dell'amore è il vino. | Una tazza dopo l'altra, convinsero Nicàgora | che negava d'amarmi. | Pianse allora e piegò il capo nel sonno | con lo sguardo imbronciato, | e la corona gli pendeva da un lato. (XII, 135; traduzione di Salvatore Quasimodo)

Note[modifica]

  1. Citato in Antologia Palatina, a cura di Filippo Maria Pontani, Einaudi, 1978, vol. I, libro V, n. 210.

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