Carlo De Cesare

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Carlo De Cesare (1861)

Carlo De Cesare (1824 – 1882), politico italiano.

Citazioni di Carlo De Cesare[modifica]

  • La provincia della Basilicata è una delle più ricche e delle più popolose d'Italia. Quand'ella avrà le sue strade ferrate e le sue vie di comunicazione interna, sarà il più gran tesoro del regno italiano; poiché ella ha i più preziosi boschi che vi siano, le acque sorgive più abbondanti, i pascoli più feraci ed i terreni più fertili; pianure e colline, montagne e vallate amenissime; ed è estesa quanto la Toscana tutta. La Basilicata è intanto una delle provincie più flagellate dal brigantaggio.[1]
  • Dopo le concessioni delle due ferrovie, l'una (concessione Melisurgo) da Napoli a Brindisi, traversando il Principato Ulteriore e le provincie di Puglia; e l'altra (concessione d'Angiout) da Napoli a Taranto, traversando il Principato Citeriore, la Basilicata e Terra di Bari; posto mente ai porti... ed al nuovo porto di Bari che signoreggerà tra breve in mezzo agli altri; la Puglia, compiute che saranno tutte queste opere di pubblica utilità e grandezza, non avrà più nulla a desiderare, in quanto a vie di comunicazioni così interne, che esterne.[2]

Del potere temporale del Papa[modifica]

  • Donde scaturirono sinora tanti guasti alla vigna del Signore? Dal potere temporale dei papi esclusivamente, fonte perenne di corruzione, d'ambizione, di scismi, e di guerre. Oh sì, Iddio bene conosceva il cuore della sua creatura; e previde nella sua increata sapienza che le ricchezze avrebbero tralignata la istituzione del sacerdozio; e per questo Ei volle ed impose severamente la povertà ai ministri del santuario; comandò che vivessero di elemosina, e satisfatti i loro primi bisogni, il rimanente dividessero ai poveri. Ma l'uomo volle rendersi superiore a Dio; ed ogni cosa precipitò in rovina; salva però restando l'arca sublime della fede ch'è imperitura. (cap. IV, p. 34)
  • Vivevano i Benedettini parcamente, e ciascuno poverissimo, non accettando neanche elemosine, poiché secondo la regola dovevano campar la vita col lavoro. Così nei primi tempi coltivavano i terreni, impiantavano alberi, copiavano scritture e libri, vivevano insomma delle loro braccia ed erano contenti di loro povertà: di talché recò loro grave scandalo quando furon trovati dopo morte ad un monaco di Flavigny due soldi nascosti sotto l'ascella; fu privato della sepoltura sacra[3]. [...].
    Ma quando per sfondolate ricchezze[4] divennero potenti; quando calpestarono la regola del loro santo fondatore e gli abati diventaron feudatarii, assoldando soldati e mercenarii; quando i soli monaci di S, Benedetto Polirono presso Mantova divennero sì ricchi da occupare tremila paia di buoi al lavoro dei loro campi; la corruzione s'aprì un varco nelle celle degli austeri figliuoli di Benedetto; e regola, e leggi, e sapere, e santità andarono in fascio; e il mondo cristiano li vide parteggiare or con Papi ed or con Imperatori, or con Baroni ed or con Monarchi, li vide opprimere con abusi e soprusi gli uomini che appellavano loro vassalli; discacciare il povero dalla soglia dei loro conventi come schiavo, infine cingersi d'armi e d'armati. (cap. IV, pp. 36-37)
  • Il potere adunque temporale di Papi anziché giovare all'indipendenza dello spirituale, le nuoce. E noi lo abbiam veduto quante volte il Pontefice nascose le chiavi del regno celeste, per mostrare lo scettro del regno mondano: noi lo abbiam veduto, quante volte il Vicario di Cristo patteggiò con la propria coscienza per ricordarsi di esser principe della terra: noi lo abbiam veduto, quante volte i diritti dei popoli cattolici furono conculcati e manomessi barbaramente dalle potenze scettrate; e il Padre della Cristianità lungi dal soccorrerli, li calpestò invece, o tacque, o timida suonò la sua parola per ossequio alle basse esigenze del potere temporale. (VI, p. 45)
  • Non dalla legge Mosaica, non dall'Evangelo, né dalle dottrine dei SS. Padri risulta alcuna facoltà d'imperio data da Cristo a Pietro; anzi leggiamo in essi d'aver Iddio comandato ai sacerdoti di vivere d'elemosina e col lavoro delle proprie mani.
    Fu la dottrina sofistica della Curia Romana l'attribuire ai Papi un principio d'imperio civile, stravolgendo all'uopo il chiaro senso della, legge per la quale i Pontefici han potestà spirituale in terra; e sforzandosi a levare il Papa al di sopra di Cristo, che tal facoltà non assunse mai, né la trasmise a Pietro. Imperrocché Gesù Cristo stesso volle obbedire alle leggi del governo politico, ed insegnò agli Apostoli che il governare politicamente fosse dei reggitori della terra, e non suo, onde Pietro predicando una tal legge, esclamava: Deum timete, regem honorificate. (cap. VII, p. 49)

Note[modifica]

  1. Citato in Giuseppe Galasso, Rosario Romeo, Atanasio Mozzillo, Storia del Mezzogiorno, volume 15, parte 2, Editalia, 1994, p. 449.
  2. Da Delle condizioni economiche e morali delle tre Puglie, Napoli, 1859. Citato da Filippo Capone nella Tornata del 28 marzo 1865 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  3. Guilberto Abate, De vita sua. [(N.d.A.)]
  4. Ricchezze senza fondo, smisurate.

Bibliografia[modifica]

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