Charles de Brosses

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Charles de Brosses

Charles de Brosses (1709 – 1777), politico, umanista e storico francese.

Citazioni di Charles de Brosses[modifica]

  • [Su Vivaldi] Riesce a comporre un concerto più rapidamente di quanto scriva uno scrivano. (citato in AA.VV., Il libro della musica classica, traduzione di Anna Fontebuoni, Gribaudo, 2019, p. 95. ISBN 9788858022894)

Lettres familières écrites d'Italie en 1739 et 1740[modifica]

  • [...] Napoli è la sola città d'Italia che dia veramente la sensazione di essere una capitale; il movimento, l’affluenza del popolo, il gran numero e il fracasso continuo delle vetture; una Corte con tutte le regole, e molto brillante, il tono di vita e lo spettacolo magnifico dei grandi signori; tutto contribuisce a darle quell’aspetto esteriore vivo e animato che hanno Parigi e Londra, e che non si trova affatto a Roma.[1]
  • Torino mi sembra la città più graziosa d'Italia e, per quel che credo, d'Europa per l'allineamento delle strade, la regolarità delle costruzioni e la bellezza delle piazze.
  • Napoli è la capitale musicale d'Europa, che vale a dire, del mondo intero.
  • Quanto a Canaletto, la sua specialità è di dipingere le vedute di Venezia; in questo genere supera tutto ciò che è mai esistito. La sua maniera è luminosa, gaia, viva, trasparente e mirabilmente minuziosa. Gli inglesi hanno a tal punto viziato questo artista, offrendogli per i suoi quadri tre volte di più di quanto ne chieda egli stesso, che non è più possibile comprar nulla da lui.[2]

Viaggio in Italia[modifica]

  • Arrivato a Voltri, scorsi finalmente da lontano la grande lanterna del porto di Genova; ormai la separava da noi solo una bella pianura. [...] Da Voltri a Genova è, si può dire, una sola via, lunga tre leghe, fiancheggiata a destra dal mare e a sinistra da magnifiche case di campagna tutte affrescate. A chi ha veduto questo, non si venga più a parlare dei dintorni di Parigi o di Lione, o delle bastides di Marsiglia. (p. 30)
  • [...] arrivammo a Genova attraverso il sobborgo di Sampierdarena. È vero che questo significa entrare attraverso la porta più bella; ma la quantità di belle case che vedevo da tre leghe, mi rese meno sensibile di fronte a questo sobborgo tanto celebrato. Passammo a fianco del faro, altissimo, costruito per ordine del re Luigi XII perché la notte serva da guida all'entrata nel porto, che è difficile. Qui ci apparvero alla vista il porto e la città, costruita tutto intorno ad anfiteatro e in semicerchio. È la più bella veduta di città che si possa incontrare. Il porto è vastissimo, benché sia stato ristretto da due moli; ma dicono che sia poco sicuro. (p. 31)
  • Solo i bugiardi sostengono, e solo gli ingenui ci credono, che Genova sia tutta costruita in marmo; in ogni caso non sarebbe un grande merito, giacché si può dire che qui non esista altra pietra fuor di questa, che del resto, se non è levigata, non è poi bella più delle altre. Ma è anche una grande menzogna sostenere, come fa Misson, che vi siano soltanto quattro o cinque edifici di marmo; in primo luogo, infatti, tutte le chiese e gli altri edifici pubblici sono interamente fatti di marmo, e così pure una gran parte delle facciate e dell'interno dei palazzi. Se si volesse generalizzare, si potrebbe affermare, con sufficiente approssimazione, che Genova è tutta dipinta a fresco. Le vie non sono altro che immensi scenari d'opera. (p. 31)
  • Le case sono ben più alte che a Parigi; ma le vie sono così strette che Mypont vi può confermare che non esagero se vi dico che la metà di esse non ha più di un braccio di larghezza, per quanto le fiancheggino case di sette piani; di modo che, se da una parte questa città, in quanto a edifici è molto più bella di Parigi, dall'altra ha lo svantaggio di non poter mostrare quanto vale a causa della cattiva distribuzione urbanistica. Del resto, mi sembra che ci sia un che di ridicolo nell'aver adoperato lo stile architettonico più maestoso, sulle aree più ristrette. I palazzi spesso non hanno né giardini né cortili, almeno che si possano chiamar tali. Quando si entra nelle case, vi imbattete magari in quattro peristilii a colonne sovrapposte, messi a racchiudere uno spazio di venti piedi quadrati. Così è dappertutto, eccetto qualche casa della strada Nuova e della strada Balbi, le due più belle della città superiori a quanto di meglio c'è a Parigi. (pp. 31-32)
  • La cerchia delle mura di Genova è estremamente vasta; racchiude molte montagne sulle quali sorgono delle ville, di modo che si va in campagna senza uscire di città. (p. 35)
  • [...] non devo dimenticare, sebbene sia molto noto, il famoso detto proverbiale di Genova: Mare senza pesci, monti senza legna, uomini senza fede, donne senza vergogna. Non ho frequentato abbastanza il paese per sapere se è vero anche l'ultimo punto; tuttavia proprio ora un genovese mi stava dicendo che in tutta Genova non c'è un cornuto, cosa che mi pare ancor più difficile a credersi che la storia del denaro in banca. Se poi è vero, potete rispondere che questo rende assai noiosa la città; e in verità, non vi ingannerete. (p. 35)
  • Gli uomini, dicono, sono superbi quanto la città, e le loro cortesie, quando ne fanno, non passano l'epidermide. Siamo stati molto trascurati da coloro sui quali contavamo, e accolti con perfetta cortesia da coloro sui quali non contavamo affatto. (p. 35)
  • Se comincio la descrizione della città di Genova con la cattedrale di San Lorenzo, lo faccio a causa del suo titolo e non della sua qualità, che non è un gran che, per quanto sia interamente costruita in marmo bianco e nero, tanto all'interno quanto all'esterno. Non vi ho trovato nulla che mi piacesse, a parte i seggi dei canonici fatti di legno intarsiato, non lucidato, e che raffigurano graziose storie; e una balaustra di marmo filigranato, nella cappella di San Giovanni. (p. 37)
  • Andai nella sagrestia per vedere il famoso piatto concavo, largo sedici o diciassette pollici, fatto di un solo smeraldo, che è, si dice, un regalo della regina di Saba a Salomone. Dal canto loro, i genovesi lo presero alla conquista di Cesarea; ma io riuscii a vederne solo la copia; l'originale è in un armadio di ferro del quale il doge ha la chiave in tasca. Pensai non fosse il caso di andarglielo a domandare. Credo che il padre Labat non sia stato più audace di me; quindi è un bugiardo patentato quando dice di averlo veduto più e più volte. La verità è che soltanto quando passano dei principi il doge, accompagnato da tutta la guardia, va a mostrar loro quella meraviglia. (p. 37)
  • San Siro, dei Teatini, mi è piaciuto molto di più per la sua architettura di colonne accoppiate, altissime e tutte di un pezzo, e per l'altar maggiore in pietra dura. [...] I giardini dei padri teatini sono a forma di anfiteatro molto ripido; in cima, a prezzo di molta fatica, si può godere un bellissimo paesaggio. (p. 37)
  • Parlando delle cose che si trovano a Genova, bisogna dimenticare i marmi; è cosa troppo comune; ma sarebbe male se trascurassimo quelli di Sant'Ambrogio dei Gesuiti, dove se ne trova una collezione completa, di tutti i tipi che la terra può produrre; purtroppo però sono adoperati per rivestire degli ignobili trespoli. (p. 38)
  • L'Annunziata, degli zoccolanti, una specie di riformati, è la più bella chiesa di Genova. Non parlo né dell'affresco né del portale, che sono brutti; ma la struttura e il primo colpo d'occhio sono superiori a tutto ciò che ho visto di simile. La chiesa è sostenuta da due file di colonne screziate di bianco e rosso, che fanno un effetto piacevolissimo. Il marmo di Carrara è adoperato senza risparmio e non vi è nulla di più bello delle colonne ritorte fatte di una sorta di agata, collocate nelle cappelle del transetto. Le altre cappelle non sono inferiori. [...] Chi potrebbe credere che questo superbo edificio sia opera di un solo privato? Non è ancora terminato e non lo sarà per molto tempo; infatti, fino ad allora, i buoni padri godranno i frutti di un grande capitale stanziato per la bisogna. (p. 38)
  • Arrivai a Santa Maria di Carignano, situata su una collina, attraverso un grande ponte di numerose arcate, lanciato, per comodità dei passanti, al di sopra di parecchie vie con case a otto piani. Qualunque cosa ne dicano i coglioni, il portale non è un gran che; ma, entrato che fui, provai una certa soddisfazione a non vedere né marmi né affreschi. È un'architettura semplice e nobile, tutta bianca. [...] Salimmo sulla cupola per una scala a chiocciola, che però non ha la colonna centrale, giacché, invece di questa, c'è un grande foro cilindrico dal basso fino in cima. Dall'alto della cupola si gode di una vista molto estesa, sia sul mare che sulla città. (p. 40)
  • Come accade che l'asino della repubblica porta sempre il basto peggiore, così il doge ha la casa più brutta, benché alloggi nel palazzo pubblico della Signoria, il quale è semplicissimo e privo di ornamenti. [...] L'appartamento del doge non ha niente di speciale. Una delle sale del consiglio contiene grandi statue dei benefattori della patria, con le iscrizioni in calce. [...] La sala dell'arsenale non è altro, per dire la verità, che una bottega di vecchie ferraglie. (p. 40)
  • Il più bello tra tutti i palazzi di Genova è, a mio giudizio, quello di Geronimo Durazzo, in via dei Balbi. Riuscirò a ricordare tutto quello che ho veduto lì dentro? Sarebbe lungo. [...] Gli appartamenti sono lussuosamente ammobiliati; i pavimenti di stucco; tutti soffitti dorati, con buon gusto; i riquadri e i rivestimenti delle finestre e delle porte, di marmi rari. Gli arazzi marezzati dipinti con succhi d'erba, da Romanelli, su originali di Raffaello; grandi stanze piene di mille piccole opere d'arte, tra le quali un bassorilievo d'avorio lungo due pollici, che rappresenta una battaglia dove pare vi siano quattro o cinquemila figure, tutte distinte e caratterizzate. Le terrazze hanno la vista sul mare, e sono ornate di balaustre cariche d'alberi coltivati in grandi urne di marmo. Il loggiato è pieno di belle statue antiche e moderne, tra le quali riconobbi una Donna antica e un Narciso moderno. [...] Provavo in quel luogo un piacere infinito. (pp. 41-42)
  • Il vecchio palazzo Doria, fuori della città, un tempo era la cosa più bella che ci fosse, e per certi aspetti lo è ancora, per quanto sia trascurato. Il suo giardino costituisce la pubblica passeggiata. Ha una grandissima vasca di marmo da dove partono zampilli in tutte le direzioni, e in mezzo, un gran diavolone di Nettuno che raffigura il famoso Doria marinaio. Ma questo è ancora niente a paragone delle magnifiche terrazze di marmo di Carrara, che costeggiano su diversi ripiani tutta la riva del mare, vuote di sotto e sorrette da colonne dello stesso marmo. Di là si gode la veduta del porto, delle navi, della città disposta ad anfiteatro, delle montagne, dei giardini e delle ville, infinitamente più bella che da qualunque altro punto. (pp. 42-43)
  • Per parlarvi della città e dei sobborghi, sapete che quello di Sampierdarena è pieno di magnifiche case, le quali rispetto a quelle della città hanno il vantaggio di essere isolate, di avere aria intorno e grandi giardini pieni di grotte, di fontane, di boschetti che si stendono sulle vicine montagne. È il posto ideale per passeggiare. (p. 43)
  • Tra i piaceri che Genova può procurare [...] quello di esserne fuori va considerato come uno dei più grandi. Ah! quanta ragione ha il detto proverbiale: Uomini senza fede! Mercanti, locandieri, mastri di posta, operai, monache, tutti sono incredibilmente furfanti ed in mala fede. (p. 47)

Note[modifica]

  1. Da Viaggio in Italia. Lettere familiari, Parenti, Firenze, 1957, in Antichi Stati, Collana diretta da G. Guadalupi, Regno delle Due Sicilie, tomo I, Real Città di Napoli (1734-1860), con un saggio di Anna Maria Rao, Franco Maria Ricci, Milano, 1996, pp. 43-44. Citato in Anna Maria Rao, Una corte nascente, in Corte e cerimoniale di Carlo di Borbone a Napoli, a cura di Anna Maria Rao, Federico II University Press, Napoli, 2020, p. 7. ISBN 978-88-6887-069-0
  2. Citato in Canaletto, I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, pp. 181 – 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\CAG\0608462

Bibliografia[modifica]

  • Charles de Brosses, L'Italie il y a cent ans, ou Lettres écrites d'Italie à quelques amis en 1739 et 1740, ed. M. R. Colomb, Parigi, Levavasseur, 1836
  • Charles de Brosses, Viaggio in Italia, traduzione di Bruno Schacherl, Editori Laterza, 1973

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