Gaetano Braga

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Gaetano Braga fotografato da Étienne Carjat

Gaetano Braga (1829 – 1907), compositore e violoncellista italiano.

Citazioni su Gaetano Braga[modifica]

Renato Simoni[modifica]

  • E Braga fischiava: aveva un suo certo modo di raccoglier le labbra a becco di clarinetto, di far passare per lo spiraglio un soffio stridulo che partecipava del sufolo e del nitrito. Era il leitmotif che accompagnava, per la vita, la sua persona. In strada chiamava gli amici così: parlando conchiudeva così il discorso, facendo poi spallucce, girandosi e andandosene. Non vi era modo di farlo star zitto: si trovasse davanti al più solenne barbassore del creato, egli emetteva il suo pazzo strepito labbiale. A Parigi, in casa della principessa Matilde, riscaldò di magnanimo furore il gelo cerimonioso d'un gran diplomatico fischiandogli in faccia. Un'altra volta, in America, a un concerto, mentre suonava il violoncello, chinò il capo e accompagnò la musica con quest'altra sua musica particolare: e il pubblico sorpreso e indignato pensava che fosse entrato qualche uccello sperduto, e vociava che si chiudessero le finestre. Si può dire che di lui non restano altri ricordi che questo fischio, un paio di romanze e una celebre novella di Antonio Fogazzaro, nella quale il Braga è adombrato sotto il nome di Lazzaro Chicco.
  • Povero Braga! Era la sua esclamazione abituale. Cominciò ragazzo, alle prime pene a sospirare: «Povero Braga». Poi gli rimase quell'intercalare, per il male e per il bene, per le vittorie e per le sconfitte, col riso e con la rabbia: «Povero Braga». E gli amici avevano preso lo spunto, e lo acclamavano così, con quella parola di compianto fiorito sopra un ghignetto tra l'ilare e il satirico.
  • Scrisse circa venti opere, e musica da camera in gran quantità; e girò il mondo, concertista applaudito. Da vent'anni era un dimenticato. Io l'ho conosciuto molti anni or sono. Dava un concertino in casa sua. Riceveva gli ospiti con dei saltarelli bizzarri da sedia a sedia, con grandi esclamazioni rumorose, agitando le braccia ed il capo adorno di un rosso fez mussulmano. Magro, asciutto, con la barbetta bianca, le carni accese, con quei suoi sgambetti, con quella sua allegria secca che non gli scomponeva la faccia un po' truce e frenetica, pareva una trasformazione moderna della maschera di Pantalone: un Pantalone rauco e invasato, nervoso e burbero, un po' urlante, un po' gracchiante, un po' sibilante. E col nome di Monsieur Pantalon lo presentava a Parigi un suo amico; ma non per ragione dell'aspetto: che allora la canizie non c'era, e la barba e i capelli erano neri come gli occhi indiavolati. Monsieur Pantalon non era che un'allegra traduzione francese del suo nome.

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