Guillaume-Antoine Olivier

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Guillaume-Antoine Olivier

Guillaume-Antoine Olivier (1756 – 1814), entomologo e botanico francese.

Viaggio di G.A. Olivier nella Persia[modifica]

Tomo I[modifica]

  • Bagdad brillò per cinque secoli di uno splendore, a cui non ha potuto mai giungere alcuna città dell'Imperio Ottomanno. Né Damasco, che fu la sede ordinaria del Califfi Omiadi; né il Cairo che i Soldani e i Califfi di Egitto si sforzarono di popolare e d'ingrandire; né Brusa, ove i Sultani Turchi piantarono dapprima la residenza del loro Imperio; né Costantinopoli stessa malgrado la felicissima sua situazione, il suo porto e la dolcezza del suo clima, furono giamma tanto floride, ricche, popolate, commercianti, quanto fu Bagdad sotto gli Abbasidi. (pp. 9-10)
  • I Curdi [...] per ordinario sono pastori; e i loro villaggi per una buona parte dell'anno restano quasi deserti, scendendo l'inverno colle loro donne, figli ed animali nei luoghi più temperati della Mesopotamia e del Curdistan, sicuri di trovarvi abbondantissimi pasoli. Nell'estate poi essi vanno sulle montagne dell'Armenia, dell'Aderligian e della Persia, ove lo sciolgimento delle nevi, e la freschezza del clima mantengono in quella stagione la verdura. (p. 64)
  • La religione de' Curdi è la maomettana, alla quale però uniscono pratiche superstiziose trasmesse loro dai loro antenati, e che paiono far parte della religione, che avevano prima di abbracciare quella di Maometto. Anche questa però poco è osservata da essi; perciocché né hanno Moschee, né fanno le preghiere ordinate dall'Alcorano; e si dispensano dal digiugno del Ramazan, e dal pellegrinaggio alla Mecca. Anzi pochissimo si uniscono ai Turchi, e ne sono piuttosto nemici; mentre quando possono, non permettono loro di penetrare nelle loro montagne; e molto meno di stabilirsi nei loro villaggi. Così, ove possono, si sottraggono volentieri dal pagare i tributi imposti loro dalla Porta. Un tale isolamento, e la diffidenza e l'odio giurato da essi contro quelli che chiamansi i loro padroni fanno che i Curdi, ad esempio dei Carduchi loro antenati, abbiano conservato in mezzo ai Turchi e Persiani i loro costumi, le loro usanze, la loro lingua, ed una specie di libertà di cui si mostrano gelosissimi. (p. 65)
  • Il lione che abita la parte d'Arabia e di Persia vicina al fiume degli Arabi, dal golfo Persico fino ai contorni di Helle e di Bagdad, è probabilmente la specie, di cui parlarono Aristotile e Plinio, e che essi la guardavano come differente per più ragioni da quella che è sparsa nell'interno dell'Affrica. Il lione d'Arabia non ha né il coraggio, né la taglia, né la bellezza dell'altro. Quando esso vuole inseguire la preda fa più uso dell'astuzia che della forza. Si nasconde tra le canne e i giunchi che costeggiano il Tigri e l'Eufrate, e si slancia sopra tutti gli animali deboli che vanno colà a disetarsi. Ma non ardisce attaccare il cinghiale, che ivi è comunissimo; e fugge poi dacché vede un uomo, una donna, un fanciullo. (pp. 78-79)
  • Il Persiano in generale mangia poche carni e fra esse non fa uso che di castrato, agnello, galline: di rado fa uso di carne bovina, di cammello, di piccione, e mai di maiale, selvaggine e pesci. Preferisce cibarsi di riso, latticioi, erbe e frutta. È ghiotto di confetture e dolci d'ogni specie: prepara una infinità di sorbetti col sugo de'frutti che aromatizza col muschio, coll'ambra, coll'acqua di rosa, salice, coll'essenza di garofano, di cannella ec. (pp. 103-104)
  • I Persiani sono grandi amatori del ghiaccio. [...] I Persiani lo mangiano di tempo in tempo o lo succhiano come si farebbe di un pezzo di zuccaro candito, e quando pigliano un sorbetto o bevono semplicemente dell'acqua schietta; vi gettano un pezzo di ghiaccio per rinfrescarla. (p. 177)
  • Quando il musulmano è ammalato, generalmente parlando fa poco conto delle cure che gli presta un medico: sano non crede di avergli molta obbligazione. Quasi sempre infifferente sulla sua sorte, o persuaso che l'ora estrema è irrevocabilmente fissata, d'ordinario non professa gratitudine a chi l'ha salvato da un pericolo.
    I Persiani usano diversamente: sia ch'eglino credano meno al fatalismo, sia che amino dippiù la vita, o che più sperino né soccorsi della medicina, non lasciano mai di ricorrervi, e la loro riconoscenza è quasi sempre proporzionata al pericolo corso ed alle cure prestate. (p. 191)
  • In Persia la medicina è più stimata di quello che lo sia in Turchia, e ciò nasce evidentemente dal maggior incivilimento e dalla maggior coltura dei Persiani. Però questa scienza non è insegnata nelle scuole pubbliche come in Europa. [...] La medicina de' Persiani non essendo oggi fondata né sulla notomia, né sulla fisica, si può considerare come scienza puramente conghietturale e di pratica, poco conducente a resultati certi. (pp. 192-193)
  • In Europa avvi una distanza immensa fra gli abitanti delle grandi città e quelli della campagna, fra l'uomo ben educato e fra quello che non lo è. In Persia noi non abbiamo trovato sì sensibile questa distanza. La classe povera delle città differisce pochissimo per l'ingegno, le cognizioni ed i costumi dell'abitante di campagna, così nella città non esiste una notabile differenza tra i ricchi e gl'indigenti. In quasi tutti ho osservato il medesimo contegno, la medesima maniera d'esprimersi. Oserei quasi dire, che hanno le stesse idee, la stessa istruzione. (p. 204)
  • [Su Muḥammad Khān Qājār] Nella sua gioventù conobbe il solo piacere di contrariare, e nell'età matura quello di far tremare tutti coloro che divennero suoi sudditi; egli che non conobbe né l'amore, né le sue delizie che non sentì mai le dolci emozioni dell'amistà; egli, il di cui cuore fu sempre agitato del timore, e non mai da un sentimento voluttuoso o tenero; egli, che trovava un supplizio nella felicità altrui; che cosa non doveva far temere, salendo sul trono? (p. 220)
  • Più soggiornavamo in questo paese, più osservavamo ciò che vi accadeva, e più ci stupivamo, che un uomo quale Mehmet mutilato all'età di 12 in 13 anni, prigioniero in Chyras fino ai 41, figlio di un semplice governatore di provincia, senza vigor di corpo, senza valore, senza talenti, avesse potuto nelle dissensioni civili giungere al punto di usurpare il sommo potere. (p. 226)
  • [Su Muḥammad Khān Qājār] Orgoglioso, tutte le sue cure, tutte le sue brame furono di sollevarsi sopra gli altri. Suo padre aveva combattuto pel trono, e vi si era avvicinato. L'idea, che potesse impadronirsene egli stesso, lusingò il suo amor proprio e lo assorbì interamente. Tenace, perseverante non perdé mai di vista il suo oggetto. Avaro, ammassò tesori. Divenuto più ricco de' suoi emuli, poté assoldar truppe. Crudele, distrusse o disperse i suoi fratelli, de' quali temeva il coraggio e la popolarità, fece perire chiunque poteva dargli ombra. Eunuco finalmente non sentì altro piacere, che quello della caccia. Fu melancholico, taciturno e concentrato in un circolo d'idee, che divennero tanto più vive, in quanto che erano più limitate. Così, come ognuno vede, il ferro che dovea degradarlo, formò o modificò il suo carattere, agì sul suo cuore, creò i suoi pensieri, e se non gli diede il coraggio, le virtù, i talenti che formano gli uomini grandi, gli diede almeno l'orgoglio, la pertinacia e la crudeltà che li rendono pericolosi. (pp. 227-228)

Tomo II[modifica]

  • Un viaggiatore, che dall'impero Ottomanno entri in Persia, tosto ai suoi primi passi sente la differenza somma che 'avvi fra i due popoli. In Turchia tutto porta i caratteri della crudeltà e della barbarie: in Persia tutto annunzia un popolo dolce ed incivilito. Orgogliosi sono i Turchi, sprezzanti ed inospitali: i Persiani sono urbani, cerimoniosi ed affettuosi. I primi, trasportandosi dalle sponde dell'Jasarte e dell'Osso nelle deliziose province dell'Asia minore, fissandosi nella colta Grecia, hanno conservato tutta la rozzezza d'un popolo pastore e guerriero: i secondi frammezzo agli Arabi, Uzbecchi, Turcomanni, Curdi, Afgani, che a vicenda li hanno soggiogati ed opressi, non hanno perduto il gusto delle arti, l'amor delle lettere, l'inclinazione al commercio. (pp. 56-57)
  • I Turchi disprezzano gli altri popoli e rigettano con pertinacia tutto ciò che parte da chi non professa il culto di Maometto: i Persiani all'opposto li sanno valutare esattamente, e ricevono con piacere i lumi, qualunque ne sia l'origine. (pp. 57-58)
  • Il Turco vi assassinerebbe se parlaste davanti a lui con irriverenza di Maometto e delle sue leggi. Il Persiano vi guarda con compassione, fa dei voti al cielo perché la verità possa manifestarsi a voi nella sua piena luce; cessa di parlarvi di religione, ma non cessa di trattenervi con bontà ed amicizia. (pp. 58-59)
  • Siano Giorgiani o Russi che professano la religione cristiana, siano Turchi, Arabi, Afgani che sono Maomettani, ma di una setta diversa della sua, il Persiano ha un' egual tendenza a soccorrerli dopo la guerra se gliene presenta l'occasione, laddove il Turco non dimentica mai, che voi siete stato suo nemico. (p. 59)
  • Se è permesso di dirlo, il Persiano ci parve un popolo degenerato, i di cui vizi sonosi aumentati nel corso delle turbolenze della sua patria, e le di cui virtù non sono forse oggi che il simulacro di quelle che furono realmente quando le leggi erano in pieno vigore, i talenti incoraggiati, la probità onorata, il merito ricompensato; quando ciascuno certo delle sue proprietà, poteva accrescerle mercé di un onesto travaglio.
    Il Turco all'opposto è un popolo nuovo, il quale ha tutta la rozzezza, tutta l'ignoranza di chi non è stato ingentilito dalla civilizzazione, e reso migliore dalla istruzione. Con un Governo abile e ben intenzionato i Persiani riedificherebbero le loro città, ripristinerebbero il loro commercio, riprenderebbero la loro industria, riparerebbero i danni sofferti dalla loro agricoltura. Con un governo vigoroso, attivo ed intelligente il Turco farebbe forse tremare un'altra volta l'Europa. (pp. 61-62)
  • In Persia non avvi nessun titolo più onorevole di quello di dotto: l'individuo che coltiva gli studi può aspirare a tutti gl'impieghi proficui. (p. 94)
  • Laddove i Turchi limitano l'istruzione a comentare l'alcorano, i Persiani insegnano la grammatica, la lingua turca ed araba, la retorica, la filosofia e la poesia. (p. 95)
  • La musica persiana, più grata, più melodiosa, più imitativa della turca, esprime di gran lunga meglio le passioni, ed agisce più fortemente sovra i sense. Noi abbiamo uditi canti ed arie guerriere che animavano, che eccitavano potentemente: altre ne abbiamo udite che destavano tutte le idee voluttuose. In Egitto, in Siria non avevamo veduto nulla di più espressivo, di più toccante, di più appassionato, quanto le danze e pantomime persiane. (p. 107)
  • Suleyman [...] era stato crudele, ingiusto, vendicativo, dedito al vino ed alle donne; aveva trascurati gli affari, fidandosi interamente del suo consiglio e de' suoi ministri. (p. 157)
  • [Su Sultan Husayn] Una dolce fisionomia, un carattere di bontà, e segnatamente la sua disapprovazione manifestata contro i castighi troppo crudeli, o troppo severi ordinati da suo padre, avevano prevenuta tutta la nazione in suo favore, e gli avevano guadagnato tutti gli animi. (pp. 157-158)
  • Regnando Chah-Hussein, re buono, le ingiustizie furono più frequenti, gli atti di crudeltà più moltiplicati, le concussioni più audaci che non furono sotto il regno del feroce Suleyman. La giustizia non si amministrò più che venalmente; le cariche furon date al maggior offerente; i capi di tribù, resi audaci dalla debolezza del re, e fidandosi nella corruzione della corte, promossero torbidi in tutti i punti dell'impero, ed in alcuni altri ribellaronsi apertamente. (pp. 159-160)
  • Mahmoud possedeva tutte le qualità di un soldato, e nessuna di quelle che spiegar deve il capo di una grande nazione. (p. 172)
  • [Su Mahmud Hotak] Portato sul trono da un felice concorso di circostanze sorprende in un istante i suoi nemici, li soggioga. Ma presto svanisce il prestigio; la sua anima troppo debole non regge al peso che l'opprime: in breve spazio di tempo la sua propria condotta, e quella de' suoi aderenti non presentano che una massa di piccoli, ma crudeli tiranni, di assassini, di devastatori. (p. 173)
  • Echeref, regnando, non ispiegò né l'avveduta politica di un usurpatore, né la magnanimità di un conquistatore, né i talenti di un generale. (p. 174)
  • [Su Ashraf Hotek] Durante il suo regno i Persiani furono tanto oppressi ed esposti a perdere la loro vita e le loro sostanze, quanto sotto quello di Mahmoud. Le città continuarono a spopolarsi; i campi rimasero incolti; i canali irrigatori furono negletti, ed ostrutti in gran parte; languì il commercio, e languirono le arti. In somma la Persia sofferse tanto, che sarebbe stato necessario un secolo di pace e di tranquillità per rimediare a tutte le calamità da cui fu desolata durante il brevissimo regno di questi due usurpatori. (p. 175)
  • Né Mahmoud, né Echeref seppero governare; né l'uno, né l'altro seppero conciliarsi il popolo che avevano conquistato, e che era ben disposto a ricevere nuovi padroni; nessuno di loro conobbe l'arte difficile di far prosperare uno Stato. (p. 182)
  • [Su Shah Tahmasp II] Sgraziatamente questo principe non ebbe le qualità grandi che esigevano le grandi vicende accadute: non ebbe né sufficiente forza, né coraggio per dominare sul generale, al quale era debitore del trono, non poté mostrarsi più grande, più generoso di lui, non poté eccitare la riverenza de' popoli, la stima de' grandi; avere a sua disposizione le forze dello Stato; in una parola non poté agire da sé e comandare da sovrano. (pp. 183-184)
  • [Su Nadir Shah] Quest'uomo, educato fra le armi, anteponeva le agitazioni della guerra alla calma della pace; preferiva i movimenti di un'armata e le convulsioni di una battaglia alle dolcezze del suo harem, ai piaceri del suo serraglio, alle benedizioni di un popolo laborioso, arricchito da un saggio governo. (p. 198)
  • [Su Nadir Shah] Mai sotto un simile monarca i Persiani non poterono lusingarsi di godere di quella calma, della quale avevano pure un sì pressante bisogno. (p. 199)
  • [Su Nadir Shah] Le conquiste aumentarono la sua infelicità e la sua oppressione. Segnendo noi Nadir nelle spedizioni scorgeremo, che in mezzo alla sua gloria militare non meno de' suoi predecessori ha egli contibuito a rovinare l'impero. (p. 200)
  • [Su Nadir Shah] Tutti i delitti, che commetteva quest'uomo naturalmente orgoglioso, irascibile e crudele, avevano per causa gli ostacoli che incontrava in tutte le sue imprese, e le sedizioni generalmente rinascenti. In pochi anni la ferocia sua erasi a tal segno aumentata che faceva morire né più atroci tormenti popolazioni intere; faceva aprire le viscere alle persone che aveva particolarmente amate. Tutti tremavano intorno a lui, poiché il dispiacergli era un delitto capitale, poiché il menomo errore, la più lieve mancanza non di rado erano puniti con la morte. (p. 240)
  • [Su Nadir Shah] Il disordine della sua mente ed il furore del suo cuore gli fecero immaginare delle liste di proscrizione, e lo spinsero ad inondare di sangue tutto il suolo della Persia. L'innocente confuso col reo, l'uomo pacifico col sedizioso, il virtuoso collo scellerato, l'uomo oscuro con quello in cariche costituito, tutti si videro esposti ai medesimi colpi, tutti ebbero ugual motivo di temere che il loro nome fosse conosciuto. (p. 241)
  • [Su Nadir Shah] Negli ultimi anni della sua vita questo mostruoso tiranno se avesse pur fatti perire tutti i suoi sudditi, avrebbe egli cercate nuove vittime. Simile alla tigre che vieppiù infierisce all'aspetto del sangue, più Nadir ne spargeva, più ne sembrava stilibondo: più massacri ordinava, più sembrava avere un maggior bisogno di pascersi della immagine della morte. (p. 242)

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