Quinto Aurelio Simmaco

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Quinto Aurelio Simmaco

Quinto Aurelio Simmaco (340 circa – 402/403), oratore, senatore e scrittore romano.

Citazioni di Quinto Aurelio Simmaco[modifica]

  • Da Bauli sono passato a Lucrino, ma non perché io fossi annoiato dell'amenità di un sito, che, quanto più si vede tanto più accresce l'amor di goderlo: Ma perché c'era pericolo, che se troppo mi fossi affezionato al soggiorno di Bauli, non fossero per piacermi gli altri Luoghi, che rimanevano da vedersi. (Da Lettera al padre Lucio Aurelio Avianio Simmaco[1])
  • E me n'andai prima a Napoli, e poco dappoi a Benevento. Ivi fui accolto con sommo onore ed applauso da tutti quei cittadini; ed erano giunte a tali e tante le cortesie, che mi recavan noja e soggezione, e tanto maggiore, quanto che riescon troppo gravi gli eccessi di quelle grazie, alle quali non si può adeguatamente corrispondere. Contuttoche la Città sia grandissima, nondimeno quegli Ottimati a mio parere la superano in grandezza d'animo: son'essi uniti con amore scambievole tra di loro, e sono degni di stima ed ammirazione per la profession, ch'essi fanno delle buone Arti, e de' civili costumi: una gran parte venera Dio. A gara impiegano le private lor facoltà nell'ornamento pubblico della Patria; poiché dopo il Terremuoto quasi nulla è rimasto loro di sano negli edificj. Ma le rovine della Città hanno avuta la buona sorte d'incontrare negli Abitanti un cuore non abbattuto. Ciascuno per la sua parte si sforza di compir lopera di buon Cittadino: e se non basta il giorno, travagliano ancor la notte.[2]
  • Quel che da tutti è venerato, è giusto considerarlo uno stesso ed unico essere. Noi guardiamo gli stessi astri, il cielo è comune a tutti, lo stesso universo ci circonda: che importanza ha la filosofia attraverso la quale ogni uomo cerca la verità?
    Non si può approdare ad un mistero così grande attraverso una sola strada.[3]

Citazioni su Quinto Aurelio Simmaco[modifica]

  • Il paganesimo credette che lo sfacelo dell'impero fosse propizia occasione per risorgere, e i retori approfittarono di tante sventure per far credere al popolo romano che i trionfi dei barbari, le ribellioni militari e le carestie fossero rappresaglie degli dei spossessati delle are e dei templi. Aurelio Simmaco, prefetto di Roma, pontefice e senatore, uno scettico eloquente che sapeva benissimo esser morti Giove, Venere e Vesta, ma che stimava l'antico culto fosse il fondamento dei destini di Roma, si fece forte di quel malcontento per chiedere, in un eloquente supplica all'imperatore, che venisse ripristinato in Roma il culto della Vittoria e nel Senato si ricollocasse la statua dell'antica dea. «Chi è, diceva egli, chi è mai tanto amico dei barbari da non chiedere l'ara della Vittoria?» (Carlo Romussi)

Note[modifica]

  1. Da Lettere di Q. Aurelio Simmaco Fatte di Latine Volgari e Dedicate All'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore D. Marcantonio Borghese Principe di Sulmona, Grande di Spagna di Prima Classe, Intimo ed attual Consigliere di stato per S. M. C. C. dal canonico Gio. Antonio Tedeschi e tra gli Arcadi Orticolo Eleo, Nella Stamperia di Girolamo Mainardi, Roma, 1724, pp. 1-2
  2. Da Epistolario 1, 3, 3-4; in Lettere di Q. Aurelio Simmaco, a cura del canonico Gio: Antonio Tedeschi, Stamperia di Girolamo Mainardi, Roma, 1724, p. 6.
  3. Da Relatio III, 10, traduzione di G. Rapisarda Lo Menzo, Catania; citato in Bruno Gentili, Luciano Stupazzini e Manlio Simonetti, Antologia della letteratura latina, Editori Laterza, Roma-Bari, 1989, p. 899.

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